giovedì 27 marzo 2008

La classe dirigente italiana in che epoca vive?



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Circa vent’anni fa mi immaginavo che uno dei compiti dei politici intelligenti, accorti e moderni, fosse quello di ridurre il peso dei costi della spesa pubblica: allora "fantasticavo" la sostituzione di quasi tutti gli impiegatini, passa carte e burocrati, con potenti e funzionanti computer, con una rete automatizzata di cervelloni elettronici, che avrebbero preso il posto di tutti gli archivi polverosi e della maggioranza dei dipendenti.
Oggi le cose non sono proprio così, non perché non ci sia la tecnologia per sostituire i vari burosauri, che resistono ancora in quel Jurassic Park che è la pubblica amministrazione, ma perché esistono forze politiche, pure economiche, che vivono attorno, come tanti parassiti, a questi incredibili apparati burocratici, con elementi al suo interno che rammentano il medioevo più fosco, la follia e gli incubi di Kafka.
I primi a volere tutto questo sono i politici, sostenuti dai nostri "valorosi" sindacalisti, che continuano a confondere il posto, l’impiego, con il lavoro: il primo è fine a se stesso, il secondo produce ricchezza.
Ora, la soluzione ovvia, razionale, dovrebbe essere quella di favorire l’uscita graduale dei dipendenti pubblici, con prepensionamenti, cassa integrazione o altro, ma con la possibilità di trasformarsi in piccoli imprenditori, in dipendenti utili nelle diverse attività private.
Per questo dovrebbero esistere corsi di riqualificazione, facilitazioni ad aprire la partita Iva e altro: in pratica sono quelle condizioni che non ci sono mai nella realtà.
Con grande dispiacere bisogna dire che una delle cause della recessione in atto, o dello scarso sviluppo economico, sta proprio nella mastodontica e costosa macchina burocratica che ci sta sulla testa.
I politici di sinistra e di destra hanno promesso rimodernamenti, ma si è solo ottenuto spreco di risorse e tante scartoffie accumulate sulle scrivanie: sino a quando non ci sarà qualcuno che snellirà veramente le procedure statali noi resteremo in un Paese in crisi, in declino.
Arduino Rossi