martedì 25 novembre 2008

Siamo in recessione, ma il morale deve restare alto.



Secondo l'Ocse andiamo male e questa previsione riguarda non solo noi, in Italia, ma tutti i Paesi sviluppati: comunque noi avremo nel 2008 un calo dello 0,4% del PIL, mentre avremo un -1 nel 2009.
Questa è la più grande recessione del dopo guerra ad oggi; già il nostro sviluppo era debole, ora le cose si mettono male e non se ne vede un'uscita a breve.
Il deficit di bilancio della spesa pubblica salirà e nel 2010 supererà il 3,1% sul Pil, mettendoci pure nei guai con il Patto di Maastricht.
Silvio Berlusconi invece chiede e cerca ottimismo, mentre la disoccupazione salirà al 8% nel 2009, che significherà difficoltà e lavoro in bilico per molti, soprattutto per i precari, ma pure per i settori più deboli della nostra economia, come il tessile, da tempo a rischio di estinzione.
Mi rammento le dichiarazioni di esperti e di uomini di governo di qualche anno fa, questa volta della sinistra: affermavano la necessità di una crescita da Paese moderno, lasciando ad altre nazioni quelle forme produttive marginali.
Quelle attività a basso reddito davano e danno lavoro a centinaia di migliaia di persone: erano fonte di sostentamento per intere vallate.
Si può dire che la gestione dell'economia negli ultimi anni non è stata felice: ci si è spesso scordati dei “particolari marginali”, che rappresentavano vite di operai e impiegati in cassa integrazione, famiglie rese povere se non disperate.
La recessione è una maledizione che ci capita sulla testa, ma non sarà per tutti uguale: ci sarà meno inflazione probabilmente, qualcuno paventa la deflazione, ovvero la riduzione dei costi rispetto all'anno prima, per la carenza di domanda.
Avremo pure qualche categoria che si arricchirà ugualmente, come chi speculerà sugli immobili, bene rifugio per i risparmi di molte famiglie, oppure chi si diletterà in Borsa, ormai tranquilla per le grandi perdite e i crolli già avvenuti.
Ciò significherebbe una riduzione dei consumi e quindi un calo della produttività delle industrie.
Si parla del fatto che il nostro sistema ha banche solide, ma ci si scorda invece della dinamicità e dell'elasticità del sistema imprenditoriale italiano, formato da 4 milioni di imprenditori, per la maggior parte artigiani.
Perché un sistema così produttivo e capace di resistere alla concorrenza sia andato in crisi bisogna chiederlo forse, ancora una volta, ai nostri politici: la scelta del cambio troppo svantaggioso tra Euro e Lira all'epoca dell'entrata dell'Italia nella moneta unica, le scelte della banca centrale europea, tutte rivolte a contenere l'inflazione, ma non a favorire lo sviluppo, segnano e comprimono quel mondo effervescente, coraggioso delle piccole industrie, delle mille e mille aziende artigianali.
Qualche politico sogna un'Italia super tecnologica, altri ambiscono a investimenti che non arrivano mai anche per il terrore della burocrazia italica: invece la nostra creatività continua a restare fonte di sviluppo, anche se si fa poco per togliere le briglie, le pastoie per licenze e permessi vari.
Quando in questo Paese, sarà possibile aprire qualsiasi attività, transitando da un solo ufficio pubblico, spendendo al massimo un paio di ore e chiunque lo potrà fare, escludendo eventuali conflitti di interessi, la ripresa sarà forte e inarrestabile.
I disoccupati, ma pure i pensionati, gli extracomunitari regolari si potranno inventare il lavoro che vorranno, sempre se onesto.
E' strano che ci si dimentichi sempre di questo quando si vuole intervenire sull'economia del Paese, eppure è soprattutto nel far funzionare meglio l'apparato burocratico che lo Stato fa il suo dovere, agendo realmente sull'economia reale.
“Meno Stato e più mercato” si diceva una volta: sarebbe giusto iniziare a mettere in pratica le promesse fatte.
Arduino Rossi