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martedì 16 settembre 2008

Libia e l'immoralità della politica


L'immoralità della politica, della diplomazia, o quanto meno la amoralità è nel pensiero e nelle tradizioni diplomatiche della penisola.
Siamo sempre stati dei temporeggiatori, degli opportunisti?
La politica estera può essere, anzi deve essere, scritta e applicata con furbizia, ma forse da noi ci si scorda troppo delle vittime delle nostre debolezze.
La Libia divenne una colonia Italiana dopo il conflitto contro la Turchia del 1912: allora l'Italia era liberale e guidata da un intelligente statista, Giovanni Giolitti.
Fu facile preda per le nostre truppe, ma fu pure difficile contenere le rivolte delle popolazioni nomadi dell'interno: ci furono feroci repressioni e proprio con il fascismo la colonia fu “riappacificata”.
Molti italiani si erano già trasferiti o si trasferirono proprio in quel periodo: divennero coloni e si dedicarono in particolare all'agricoltura , nei pochi campi arabili della costa .
Ci fu la sconfitta della Seconda Guerra Mondiale e questi italiani rimasero, almeno in parte, tra diverse vicissitudini, come “ospiti”, in terra straniera.
Nel 1970 ci fu il colpo di stato di un giovane colonnello dell'esercito libico, di nome
Muhammar Gheddafi.
Tra le sue iniziative ci fu quello dell'esproprio dei beni degli italiani: si stimò un valore di 400 miliardi di lire dell'epoca, che rappresenta una somma enorme se rivalutata in Euro.

Ventimila italiani furono espulsi e mai risarciti di case, di campi bonificati, di beni ottenuti con il loro lavoro e anni di sacrifici.
Ora si fa festa per il trattato, ma costoro subirono una grande ingiustizia.
L'Italia degli anni Settanta era impregnata di ideologia: i profughi furono visti come ladri di terre, come nostalgici del regime colonialista e fascista.
Furono abbandonati al loro destino e non ricevettero risarcimenti, ma solo briciole: furono pure loro delle vittime del periodo coloniale italiano.
Arduino Rossi